sabato, ottobre 05, 2013

Scheda di lettura e valutazione di Tokyo Night - Il riflesso dei fiori di ciliegio

Qui di seguito vi copio la scheda ricevuta dalla filologa dott. Elisabetta Rossi, che, come potete notare, è esperta di letteratura giapponese contemporanea. Ho scelto Elisabetta perché avevo letto le schede da lei redatte per il corso di editoria che aveva seguito dopo la laurea e le avevo trovate davvero impeccabili.

Sono molto felice di aver trovato, finalmente, una persona competente e non il solito stagista sottopagato e ignorante in cui mi sono imbattuta in passato. Se anche voi volete un parere competente, serio e professionale sui vostri romanzi, posso mettervi in contatto con lei.


TIPOLOGIA SCHEDA: scheda di lettura
DESTINATARIO: autore

di Chiara Gallese

La storia
Il riflesso dei fiori di ciliegio è un romanzo d’atmosfera che annovera due grandi protagoniste.
Una è la città di Tokyo, la cui vivacità è raccontata dalla struttura del romanzo, che procede affidando ad ogni capitolo la descrizione di un luogo della grande città, di un ricordo ad esso legato; la seconda è Keiko, una giovane giapponese ritratta nella sua vita di venti-trentenne, tra le sue tre relazioni sentimentali importanti (il crudele Daisuke, l’affascinante Masayuki, e il rassicurante Michele) e i suoi tentativi di trovare un equilibrio appagante tra lavoro e creatività. Il lettore viene condotto per mano alla scoperta di una Tokyo personale, che è la Tokyo di Keiko: i suoi luoghi caratteristici scandiscono il viaggiare dei suoi ricordi, tramite i quali chi legge può ricostruire a poco a poco una vicenda dolente, fatta di decisioni sofferte e impietosi rovesci del destino.
La linea principale della storia procede in avanti mostrandoci il progredire della sua più recente relazione, quella con Michele, l’avvocato italiano che è entrato in contatto con l’azienda dove Keiko lavora come stilista. Il fiorire di un nuovo amore è l’occasione per ripercorrere gioie e dolori dei suoi rapporti passati: emerge così l’abbandono di Daisuke, un compagno di università che aveva lasciato Keiko dopo tre anni di relazione, alla vigilia della sua discussione di laurea, spaventato dalla scoperta della sua gravidanza, successivamente culminata in un aborto spontaneo. Ma la storia che trova lo spazio (fisico e psicologico) maggiore all’interno di queste pagine è quella che lega la protagonista a Masayuki, un ragazzo giapponese nato biondo con gli occhi azzurri (i cui lineamenti caucasici, si scoprirà, gli hanno procurato un’infanzia da incolpevole reietto): il suo legame con Keiko è da subito passionale e complesso, deliziosamente interpolato dal carattere energico della protagonista (nota a tutti per essere “occidentale dentro”, sfrontata e affettuosa, e per questo isolata dai suoi connazionali).
Sarà proprio la volontà di Masayuki di trovare una propria dimensione in un paese in cui sentirsi finalmente a casa a causare la rottura con Keiko; all’annuncio di un possibile trasferimento a New York, la protagonista si troverà a rifiutare la proposta di matrimonio di Masayuki, troppo dubbiosa e indecisa all’idea di sradicarsi dalla propria terra, che pure le è in tanti modi ostile.
Un passo che invece, anni dopo, accetterà di compiere per raggiungere Michele in Italia (evento che chiude il romanzo): la situazione di completa serenità, la profonda stima per il Belpaese, la maturità acquisita e la sicurezza di un amore grandissimo la spingeranno all’addio finale, che si suggerisce sia solo un arrivederci, non quindi un sistema per tagliare i ponti col passato, ma un modo per pensare lucidamente il proprio paese tramite il distacco, in vista di una futura consapevole riconciliazione.
Sullo sfondo trovano spazio numerosi altri personaggi: la madre pittrice, morta prematuramente di tumore al cervello, la cui figura ieratica di “geisha spirituale” illumina l’immaginario di Keiko e la ispira nel suo lavoro di stilista; suo padre, che nel corso della storia supererà il lutto per abbracciare un nuovo amore; la sua capa Arisa, figura iconica che sprizza perfezione ma nasconde un passato poco onorevole; le colleghe italiane Miriana e Paola, eleganti e intraprendenti, la cui presenza permette a Keiko di conoscere e apprezzare l’Italia; e infine l’ambasciatore Rossi, un personaggio chiave della storia, la cui presenza trapunta finemente l’intero romanzo dalle prime pagine alla fine, accompagnando come un’ombra inconsapevole tutto il percorso di Keiko.

Analisi
Questo romanzo è a tutti gli effetti un viaggio dell’anima scritto in prima persona. Ciò è già evidente dall’incipit (p. 9), un episodio in cui una corsa in metro si trasforma in un momento di riflessione che porta la protagonista a un passo importante della sua vita: quello di lasciare il lavoro da office lady per cercare qualcosa di maggiormente ambizioso, nonostante il parere contrario del padre. Il tempo della storia non coincide mai con il tempo del racconto: la linea del tempo è sfilacciata, modernisticamente discontinua; le fermate della metropolitana di Tokyo scandiscono capitoli cronologicamente mescolati, che mostrano un certo numero di giornate della protagonista, ritratta in giro per determinati luoghi della città (corredati da interessanti note esplicative). L’autrice, pur rifuggendo la linearità, attua una poetica del “dettaglio luminoso”, dipingendo ognuna di queste giornate come un tassello fondamentale per la costruzione di un continuum narrativo che, prodigiosamente, è estremamente agevole e avvincente da seguire.
L’intento autoriale è palese fin da subito: lo scopo della storia è di sollevare gradualmente la nebbia per raccontare, appunto tramite il focus sui “dettagli luminosi”, gli eventi importanti della vita pratica ed emotiva di Keiko; nel contempo, vi è la volontà di permettere al lettore di conoscere la città di Tokyo in ogni suo aspetto, attraverso lo sguardo di una giovane per cui ogni angolo riecheggia un amore, un dolore, una vittoria, una sconfitta, un’epifania di comprensione.
Infatti, l’uscita dalla metropolitana (p. 13) offre a Keiko la possibilità di lasciare se stessa (durante il viaggio il lettore aveva già appreso per cenni alcune delle tematiche importanti intorno a cui ruota la sua storia) e raccontare la vita del suo quartiere, illuminare il lettore sui monumenti, i ristoranti, le festività tradizionali giapponesi.
Interiorità e vita reale di Keiko si mischiano nuovamente quando la comparsa di un ristorante all’angolo della strada le ricorda il primo appuntamento con Masayuki.
Questa tecnica del “suggerimento ambientale” viene applicata con successo dall’autrice in molti altri passi del romanzo, creando una dialettica continua tra i vari aspetti di Tokyo e la storia personale di Keiko: ad esempio (p. 21) il colloquio che sostiene per un posto di export manager (lo stesso che la porterà a lavorare, invece, come stilista) è l’occasione per raccontare la storia della madre, pittrice ed erudita, nonché di veicolare quelle che sono le idee di Keiko sulla deleteria folklorizzazione del Giappone a beneficio degli occidentali (p. 24 “Non vorrei sembrarle impertinente, ma non credo che svendere la nostra arte antica al servizio di persone che la trovano semplicemente ‘kawaii’(…)”), come pure di introdurre quella che sarà una delle riflessioni centrali del romanzo, ovvero l’estraneità di Keiko al mood silente tipico giapponese, la sua tendenza “occidentalizzante” a dire quello che pensa senza peli sulla lingua (Non so se avevo fatto bene a esprimere cosi apertamente il mio pensiero (…) Fin da molto piccola, mia madre, per prendermi in giro, mi definiva gaijin, straniera. La mia tempra aperta e vivace mal si conciliava con le usanze e il carattere riservato del giapponese medio, di cui la mia famiglia era il tipico emblema).
Vi è dunque un dialogo assiduo e ben strutturato tra quelle che sono le tre volontà dell’autrice: raccontare le giornate di Keiko, evocarne il passato e descrivere la città.
L’equilibrio espositivo tra questi tre aspetti è differente in ogni capitolo e contribuisce a rendere la narrazione più varia e scorrevole: se il secondo capitolo è perlopiù narrativo e, come abbiamo visto, racconta il presente tramite il colloquio di lavoro di Keiko (e solo una piccola parte è dedicata al ricordo di sua madre e alla descrizione di Tokyo), nel terzo si impone l’aspetto memoriale, perché una visita della giovane al tempio (p. 29) è l’occasione per spiegare come viene vissuta la pratica religiosa in Giappone e poi per raccontare in flashback il perché dell’inquietudine che porta Keiko al tempio così spesso. Si tratta della fine della relazione con Daisuke, poi culminata in un aborto spontaneo e in un tentativo di suicidio, corredato da una riflessione sull’individualismo sfrenato tipico dei Giapponesi, che spesso conduce alla solitudine estrema (p. 36: Così mi procurai un flacone di sonniferi e ingerii una pillola dopo l'altra, lentamente, fino a svuotarlo del tutto. Mia madre diceva sempre che come nasciamo, cosi moriamo: inevitabilmente soli).
Nel quarto capitolo la storia procede ulteriormente a ritroso e comincia il racconto della relazione di Keiko con Masayuki: ciò consente alla narrazione di entrare nel vivo di uno dei leitmotiv portanti del romanzo, ovvero lo straniamento, l’estraneità, il sentirsi (o essere realmente) stranieri in Giappone. La figura di Masayuki è portatrice di ambiguità: il fatto di essere occidentale esteriormente, eppure giapponese interiormente in tutto e per tutto, ne fa un personaggio che affascina il lettore con il suo mistero, che commuove con la sua bellezza perennemente inadeguata, un aspetto esotico che lo costringe a vedersi scambiato per straniero nel suo paese ogni giorno, ad ogni angolo di strada (errore in cui incorre anche Keiko quando fa la sua conoscenza, p. 39), e tuttavia lo rende appetibile alle ragazze. Con Keiko forma una coppia ambivalente, dato che la giovane è quasi, per via del suo carattere esuberante, un’occidentale con fattezze asiatiche.
A partire dal quinto capitolo, che introduce il personaggio di Michele e la sua storia con Keiko, si alternano a specchio i capitoli a tema “Keiko e Masayuki” con quelli a tema “Keiko e Michele”: questo crea una correlazione tra i due amori e i due momenti diversi, tra confronti e sovrapposizioni; emerge inoltre il tema delle ombre, entità di cui Keiko sente la presenza anche in absentia (il suo bambino mai nato e Masayuki, che resta presente a livello “fantasmatico” anche durante la relazione con Michele).
Un’ombra reale è, invece, quella dell’ambasciatore Rossi, misterioso diplomatico italiano la cui presenza-assenza scandisce le giornate di Keiko, che pure non entra in comunicazione con lui fino alle ultimissime battute del romanzo.
Si nota, inoltre, un raccordo perenne tra gli umori dell’anima e il rapporto col cibo, tema d’elezione della letteratura giapponese contemporanea: le pietanze consumate dai protagonisti sono sempre minuziosamente descritte e non è raro che Keiko manifesti, a ridosso di una crisi esistenziale, un rifiuto del cibo e un senso di malessere (p. 72, dove non riesce a mangiare per l’emozione di trovarsi con Masayuki, e p. 142, dove il trovarsi in presenza di una donna all’ottavo mese di gravidanza le risveglia un senso di inadeguatezza che sfocia in una forte nausea).
I capitoli 8 e 9 si distinguono per il forte legame che si instaura tra Keiko e l’Italia (patria del suo nuovo amore e paese socio del suo progetto lavorativo); i discorsi con Michele e le amiche Miriana e Paola forniscono occasioni di interessanti digressioni sui rapporti tra Giappone e Italia; si parla con cognizione di causa delle differenze dei due sistemi scolastici, delle geishe (di cui è fornita una fenomenologia vera e inconsueta, probabilmente sconosciuta al lettore occidentale medio) e ancora del salto nella modernità che ha portato il Giappone nel terzo millennio con imponenti lacune di consapevolezza, che causano scompensi emotivi pesanti nei contemporanei (p. 91: Nessuno ci aveva insegnato l’importanza dei valori tradizionali e del sacrificio, li davamo per scontati e onnipresenti, sempre dovuti nei nostri confronti).
Un’altra fondamentale tematica che muove tutta la storia è il distacco, nella sua ingerenza dolorosa ma necessaria: da una parte c’è la necessità di lasciare andare i fantasmi del proprio passato (come nel capitolo 10, dove a p. 123 l’evocativa descrizione di un Capodanno trascorso in famiglia è per Keiko l’occasione di dire addio alla madre e al figlioletto mancato e di cominciare a pensare al futuro del proprio padre; e nel 17, p. 314, la visione dell’anello di fidanzamento che coronerà il suo sogno d’amore con Michele fa scomparire per sempre il fantasma di Masayuki); dall’altra c’è il distacco come allontanamento fisico: è infatti evidente come la decisione di Keiko di lasciare il Giappone, alla fine del romanzo, sia il risultato di una lunga e ponderata mediazione tra il suo sentirsi straniera nel proprio paese e contemporaneamente legata a doppio filo con esso. Ne è la prova il fatto che (p. 297), quando era stato Masayuki a invitarla a lasciare tutto per seguirlo a New York, il rifiuto di Keiko fosse stato senza appello. Solo una serenità di livello superiore riesce, alla fine, a spingerla verso l’ignoto di un trasferimento dall’altra parte del mondo: un distacco fisico che le consentirà, come l’autrice lascia intendere, di ripensare il Giappone con occhi nuovi, facendo pace con il proprio passato.
L’architettura del romanzo è solida nonostante la presenza di numerosi flashback e continui spostamenti avanti-indietro sulla linea cronologica degli eventi.
I personaggi hanno il pregio di far convivere una ricchezza di carattere tipica delle figure dei romanzi occidentali con l’umbratilità, il dialogo costante tra detto e non detto, il mistero dei personaggi dei romanzi giapponesi contemporanei (penso soprattutto a Banana Yoshimoto – spesso citata in questo romanzo – e a Haruki Murakami). In particolare è apprezzabile il tentativo di creare figure realistiche, chiaroscurate, che si impongano nonostante i propri difetti (o proprio in virtù di quelli); basti pensare, ad esempio, all’eccentricità intellettuale di Michele, che rifiuta di leggere i romanzieri americani perché non reputa degna di nota una cultura con pochi secoli di storia (p. 192); questo fatto, lungi dall’irritare Keiko, finisce per intenerirla, perché le ricorda come sua madre ostentasse, a volte, un atteggiamento simile.
Le citazioni coprono un ampio spettro di conoscenze, quale può verosimilmente essere quello di una ragazza giapponese con un cuore occidentale, passando dalla cultura classica alla sottocultura pop, dai filosofi greci agli Idol giapponesi; si va da Ozaki Yutaka a Mariah Carey, da Ray Bradbury a Lucio Battisti, da Dido ad Aristotele. Vi è inoltre una sorta di playlist: in apertura di ogni capitolo una canzone accompagna il lettore, come una sorta di colonna sonora, nello stato d’animo immaginato dall’autrice per quel luogo e quel momento.
Le descrizioni sono molto curate, ricche ma circostanziate (anche questa è una caratteristica mutuata ai classici contemporanei del Sol Levante) e sempre in linea con il contesto narrativo in cui si trovano; una particolare attenzione è rivolta alla descrizione degli abiti, quelli di foggia occidentale come quelli tipicamente giapponesi come lo yukata.

Suggerimenti
Tra i capitoli dedicati alla storia di Keiko con Masayuki ve ne sono alcuni in cui l’elemento descrittivo prevale sugli altri in modo disarmonico: penso ad esempio al capitolo 14, dedicato alle passeggiate serali della giovane coppia, in agosto. Lo scopo, ben evidente, è quello di descrivere un quartiere della città; però, venendo meno l’elemento narrativo, si consiglia di ridimensionare o eliminare il capitolo, magari introducendo qualcuna delle tematiche espunte in altri passi del romanzo.
Un altro fronte su cui si può pensare a una modifica è la struttura della storia Keiko- Masayuki: il fatto che sia destinata al fallimento (e che si sappia fin da subito) induce il lettore a seguire questa sottotrama solo per scoprire come mai i due hanno finito per lasciarsi; visto il fascino del personaggio di Masayuki, tuttavia, si consiglia di alzare la tensione sul suo personaggio, creando curiosità sugli interessanti aspetti nascosti della sua personalità e sui ricordi dolorosi della sua infanzia.
Le vicende di altri due interessanti figure possono essere arricchite per aumentare l’empatia con il lettore: penso soprattutto alla carismatica capa Arisa (si potrebbe intensificare il suo rapporto con Keiko per rendere ancora più sconvolgente per il lettore la scoperta del suo passato da escort), alla vicina di casa Masuda (la donna semplice e di buon cuore che diventerà la nuova moglie del padre di Keiko). Non toccherei, invece, il Signor Rossi, il cui ruolo di ombra sapiente è volutamente “centrale ma marginale” nell’economia del romanzo.
Per quanto riguarda l’ambito formale, lo stile è corretto e scorrevole, non necessita di ulteriori modifiche. Così le note, tutte pertinenti e ben argomentate. Di due solamente propongo l’eliminazione, perché a mio avviso non necessarie: p. 59 nota sulla french manicure (nel 2010 in occidente non era ancora così diffusa, ma ora è molto nota anche da noi), p. 89 specificazione della famosa frase di Aristotele “l’uomo è un animale politico”.

Conclusioni
Il riflesso dei fiori di ciliegio è un romanzo ben strutturato, versatile e fruibile a tanti livelli: ideale per la vasta cerchia degli appassionati del Giappone, esperti o semplici simpatizzanti (in Italia sempre più numerosi) e analogamente apprezzabile da tutti gli amanti delle storie d’amore e di formazione intimistiche.
In definitiva si tratta di una testo che potrebbe trovare una collocazione sul mercato editoriale italiano proprio in virtù di una natura molteplice, che concilia ambizioni letterarie e commerciabilità.